No bone, no blood, no ash, no LOVE.

k project//R18

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    No bone, no blood, no ash, no LOVE.



    <p style="padding-left: 50px;"><p style="text-align: left;">E' come scavare in un pozzo, ancora più a fondo, ancora più in basso. Cosa dovremmo aspettarci dai baratri, dai pozzi, dai luoghi abissali e profondi? Il nulla? Il vuoto? Il male?

    Alla fine è sempre un luogo oscuro, fronteggiato dalle tenebre e dalla morte.

    Eppure è più come una liberazione, per alcuni, è come se cadere in un buco senza fine fosse l'unica via di fuga, come se quello scivolare e sprofondare verso l'ignoto fosse l'unica cosa che li facesse sentire ancora vivi.



    Leggera fluttua l'aria scompigliando i capelli ramati, controcorrente è l'odore aspro dei ricordi annidati nella mente, come ragnatele tessute da ragni accurati e precisi, antichi creatori di miscugli, di trappole e stratagemmi. Ma la dove vi stanno sotterfugi, vi è anche la lama tagliente dell'insicurezza, del dubbio e del tradimento. In quegli angoli tetri della mente, delle vie deserte abitate da cenere e ruggine, vi è quello che si definisce passato, quello che si definisce antico, vecchio, arcano, ricordo. Davanti a quel muro color mogano, color polvere, la mano si tende curiosa, quasi titubante del tocco freddo del mattone e del cemento scuro. La mano trema, pallida e intorpidita dal freddo. Si poggia piano, in cerca di calore, quel forte e ardente fuoco che un tempo era lì che si consumava, era lì che esso si manifestava, come le cicatrici impresse sulla pelle dal suddetto, come gli occhi impregnati di lacrime bollenti e cariche di sentimento, di passione e dolore. Avido è il cuore, ingannevole è la memoria, la sfumatura dei colori, il vestito che ancora ci sfugge, che lento muta, da nero a grigio, da grigio a bianco e da bianco a rosso. Quel colore così acceso, così perfetto, così carico di sentimento e amore, quell'emozione che veniva provata ogni volta, quel covo di segreti che come un tesoro veniva custodito in uno scrigno prezioso, come un diamante sfoggiato con maestosa sicurezza. Ed è lì che ancora una volta la mano cade, sopra il cemento e i mattoni vecchi, di case passate, ormai abbandonate a loro stesse, proprio come allora, proprio come sempre. Ed è inevitabile il crollo delle promesse, dei sorrisi felici, degli sguardi amichevoli e familiari. E' impossibile che quella dolorosa ferita incisa nel petto sopra simboli antichi e di fratellanze d'onore, sia solo un incubo passato, sia solo la nostra cattiva memoria, l'occhio che male ha impresso i ricordi, che non ha colto il fuoco ardente che ha ustionato la carne, ha appuzzato la pelle nivea e profumata di oli. Perché la realtà distrugge, la realtà penetra il petto in profondità, fino a immergere la lama sottile dentro la carne, scivolando rapida fino al cuore, senza paura di arrivare troppo in fondo, senza tremore di ferire ancora.

    Quanto si può sopportare il dolore? Quanto ancora il carico enorme dei sentimenti ingombrerà il petto, sprofondando in un groviglio di spine dove uscirne è un suicidio, è la morte, è la via cieca che non può avere un ritorno...?

    Ma casa... oh, casa..! Casa è dove il cuore ci porta, dove l'amore, anche il più infimo e bastardo, più sporco e colpevole, si trovi, dove lì si trova la persona che si desidera ardentemente, più della nostra stessa salvezza, più di ogni altra forma esistente. Perché non ci sono seconde volte, non ci sono seconde case o seconde famiglie. La casa, così come la famiglia è una. E non è il covo da dove si parte, perché quello è solo un processo di preparazione alla ricerca di “casa”, è l'inizio amorevole o turbolento, è quello che ci orienta verso la nostra dimora, unica e sola.
    Perché casa è una, una soltanto.



    Fushimi Saruhiko.







    Avanza con un tocco leggero di spada, indietreggia e si difende con lo scudo di plastica e legno. Lampeggiante e rovente è la fiamma che lo avvolge, l'urlo che si alza, mentre il ghigno di sottofondo confonde i sensi e stordisce la rigida sicurezza. Poi il coltello che trafigge, il capello che scivola dai capelli sottili e lisci, lasciando al sole il tempo di farli sfumare dai raggi. Ed è allora che il tentennio obliquo si presenta, la spalla che si scontra col muro, il dolore al fianco ferito, il sangue che cola copiosamente dalla pelle, impregnando gli abiti, macchiando il tampone caldo qual è la piccola mano. Un grugnito, una smorfia, una piccola maschera teatrale, quella del dolore, del più doloroso sentimento, della più putrida perdita. E non è tristezza o rimorso, è rabbia, la stessa che da giorni lo invade, è quella lama che non ferisce la pelle, non penetra la carne e i muscoli, ma è proprio colei che va a trafiggere i sentimenti, gli stati d'animo, l'aspro sapore della perdita di qualcosa, di un valore importante, di un significato perso nel tempo. Ed è allora che il nome si sfuma, che non ha più alcun senso, che le azioni vengono vanificate, che l'alcol cancella ogni cosa, ogni piccola parola pronunciata e ogni singolo volto visualizzato. Ma non è ubriacatura quella, non è estasi che ti sballa, è sangue che scivola lento fuori dal corpo, è una lama fredda che vuole gelare anche la sua preda, che vuole privarla del suo calore umano.

    Ed è allora che scivola a terra, che c'è una fiamma rossa che scaccia il nemico. Vano è il tentativo di allontanarlo e allora resta la forza di spirito, la lingua pungente e lunga, la stessa che per anni ha offeso, che ha gioito con voce stridula a ogni momento felice e glorioso, che pavoneggiante si è mostrata al compagno, l'unico e solo. E ci sono occhi carichi di tutto, carichi di rabbia, di risentimento, di ferite che non saranno mai rimarginate del tutto. Poi la mano più grande che si posa sulla stessa del ragazzo steso a terra, che tampona anch'essa la ferita. Il predatore che cura la preda, il nemico che soccombe l'avversario. Ed è uno schiaffo, poi un cazzotto sulla guancia, ma non ci sono movimenti di resa, solo di avanzata. E parte alla carica con un sorriso divertito, un ghigno quasi isterico e una spinta contro il suolo macchiato di tutto: di fango, di mozziconi, di polvere accumulata nel tempo. Poi un insulto e il silenzio.

    Il rituale che finisce, la tecnica di corteggiamento che ha fatto effetto, le ali del pavone che si ritirano e il leone che smette di mostrare le unghie e i denti. La criniera è ancora corta, è spelacchiata e giovane, così tanto da sembrare vecchia. Ed è un bacio bagnato, scivoloso come l'olio, corrosivo come l'acido. Ma è così dolce, così amaro, è così triste da sembrare perfetto. E La mano continua a tamponare, mentre l'altra spinge con forza invano sul petto, su quella giacca color blu, color mare.

    Gli occhi si affilano, il torpore del corpo lo invade, il sangue cessa di colare mentre la lama è ormai fuori dal corpo indifeso e forte. Un grugnito, una spinta del ginocchio contro il cavallo, il rosso a imporporare guance piene e ancor prima pallide. Poi c'è la lingua, che accarezza le labbra, che le schiude e si intromette in quella caverna una volta solo e soltanto sua, una volta posseduta per giorni, per ore, per attimi. Era come se tutto fosse vano, come se il loro mondo fosse solo un ricordo lontano, la felicità divorata dall'incompletezza, dall'odierno odio e star male. La perdita che affoga il sentimento in sangue.

    Ed è una danza, quella che segue la commedia, la tragedia, l'apocalisse più cruenta. Passionale, intensa, avida, cattiva e ferrosa. I canini che affondano nel labbro morbido, il sangue che cola da quelle labbra sottili e rosee, un ghigno si forma dietro quella macchia cremisi. Lo guarda cattivo dal basso, arrossato, affannato. Eppure lo sa, lui lo sa! Finirà come all'ora, come sempre, in balia del delirio e dell'osceno, in balia del mare aperto, della tempesta piena di fulmini.



    “Hai paura, Mi-sa-ki~?”



    “Sei solo un bastardo pervertito.”



    Un ghigno e la lingua guizza veloce fuori dal covo, lecca la superficie della pelle, il contorno accurato delle labbra, il soffice strato di zucchero, mentre il ferro invade il palato. Si cala, ancora, deciso, mentre il ginocchio preme, mentre la mano allontana l'altra dalla ferita, la spinge in alto, macchiate entrambe di sangue, di dolore. E anche la gemella la raggiunge e con agilità le lega insieme. Non c'è resistenza, opposizione, nonostante le parole dicano tanto, lui lascia fare, si lascia toccare. Grugnisce e basta, soffia, come un gatto arrabbiato ma consapevole. E' inutile opporsi al desiderio a quello che un tempo era quotidiano, a quello che sa di volere anche lui.



    “Ma a te piaccio proprio per questo neh, Mi-sa-ki~?”



    Soffia piano, con toni cantilenati, calzanti, isterici, folli. E Misaki lo guarda male, lo guarda e basta e poi lo lascia fare, lo lascia esplorare, navigare ancora una volta in quel mare solo suo e di nessun altro. La maglia si alza, così come quella che è sotto, la pelle si mostra, chiara, liscia, perfetta. Le mani sfiorano ogni piccolo lembo di pelle e lentamente risalgono i polpastrelli, lentamente scivolano verso il petto, la dove vicino al collo si ferma la stoffa arrotolata. Poi il ghigno scompare e un espressione seria appare sul volto, come se quello fosse un rituale religioso e sacro.

    La lingua lecca la pelle, la tocca appena, sente il calore sulle mani, lo stesso emanato da quel corpo fragile e piccolo. Ma quanto fragile può essere il suo, che ha sofferto il freddo e la fame, che per strada ha vissuto fin dalla nascita, arrangiandosi, raccogliendo avanzi di altri e lottando con le unghie e con i denti per sopravvivere..? Quanto può essere allenato quel cuore, che mai ha ricevuto amore, nemmeno da quel partner che ora lo bacia, lo accarezza piano, lo fa eccitare gradualmente, lo sveste di quegli abiti ingombranti, che a niente servono se non per celare la pelle e il suo aroma..?

    Socchiude gli occhi e lo fissa da quella posizione, finché le labbra di Saruhiko non avvolgono il suo membro, l'asta calda e bollente che lentamente fa calare in quella bocca, fino a puntellare la gola e invadere ogni cosa. La circonda di pareti calde, morbide e la carezza veloce, con gesti regolari e veloci. Sente il piacere spingersi contro il ventre e là, sotto quella folta peluria scura e quasi rossiccia. Si alza, un colpo di reni, il dolore a lacerare il fianco colpito, le mani a stringere ed afferrare con rudezza la capigliatura corvina, i denti che graffiano il sesso e il gemito spezzato dal dolore. Le dita stringono maggiormente la chioma, per poi allentare gradualmente la presa, mentre le gambe divaricate lasciano spazio a quei gesti e quei tocchi. Sospira veloce e Sakuhiro procede, senza sosta, fino a farlo arrivare al limite e solo allora fermarsi. Misaki abbassa lo sguardo, lo fissa con odio, con rabbia, lo fissa e lascia i capelli, mentre il fiato corto e le guance rosee lo rendono caldo, lo rendono succube.



    “Misaki.”



    La voce bassa soffia sulle labbra del giovane, gli occhi penetranti in quell'abisso color mogano. Misaki vacilla, un attimo e lo fissa, mentre Sakuhiro lo stringe, lo bacia, lo tira a se e lo spoglia con frenesia, come se non ci fosse più tempo, come una bomba pronta ad esplodere. La preparazione è veloce, troppo e Misaki si oppone, morde le mani, le labbra, le spalle, mentre le dita afferrano la camicia, tirano verso l'alto fino a strapparne la stoffa e andare a scavare sotto, là dove la pelle è sensibile.

    I pantaloni si calano con l'intimo il corpo viene spinto a terra, sollevato per la gambe magre e sode, mentre il corpo si va a incastrare tra esse, spingendosi piano nell'apertura appena lubrificata. Poi una spinta veloce, profonda e dolorosa lo dilania. La pelle che si lacera, il non essere più costantemente abituato, la preparazione fatta troppo velocemente, mentre quel bruciore terribile che lo divora.

    E sopprime le urla tra le mani, lasciando che le lacrime pungano gli occhi chiusi serrati. La mente è scossa e sveglia più che mai e Sakuhiro lo ignora, si muove veloce, senza pensare ad altro che al proprio piacere, sopra di lui, con le mani a sollevargli le gambe, con lo sguardo fisso su quel viso sofferente.

    Non ci sono parole, solo respiri, borbottii trattenuti, il rumore delle gomme sull'asfalto in lontananza, qualche treno che fischia e il rumore del vento che accarezza i capelli sottili come fili d'erba.

    Non c'è amore. Non c'è contatto se non quello sprezzante della sofferenza, quello del piacere più grande, là, quando Sakuhiro trova il fascio di nervi, là, quando Misaki trova un salvagente in mare aperto. Perché è una tempesta, è uno tsunami, è l'onda che alta va a scagliarsi contro di lui per divorarlo e spingerlo a riva con rabbia. Le mani si allungano dietro la testa, perché le spinte lo stanno facendo sfregare contro il suolo. Le dita cercano un appiglio e quando lo trovano, le mani stringono forte, come se solo quello lo salvasse. E in quel momento i gemiti sono trattenuti male, il piacere da libero sfogo ai suoni, alla cantilena perfetta che fa arrivare all'orgasmo il traditore, mentre colui che soffre si ritrova inondato di liquido caldo, denso e la completezza lo fa straboccare e venire l'attimo dopo.

    Il corpo sporco, sia dentro che fuori, l'anima macchiata, ancora una volta. Dolorosa è la cicatrice che andrà a crearsi su quella carne morbida, putrida sarà la memoria di quel giorno, dell'ennesimo.

    Non ci sono saluti cordiali, solo un rivestirsi da parte di uno e andare a raccogliere l'arma abbandonata al suolo fino a quel momento. La spada si rifodera, mentre l'altro è intento a coprirsi le parti basse, doloranti fino alla nausea. Un ghigno invade la via e Misaki ha un brivido. Paura e vuoto, quel senso di perdita, quella sensazione amara e tagliente. Il sangue non scorre più fuori dal corpo, ma la pelle tira e la mano della follia lo accarezza sul capo, la in quel campo profumato. La bocca scivola vicino all'orecchio e la voce cantilenante gli tambura fin dentro la testa.



    “Ci vediamo, Mi-sa-ki~.”





    //Spazio all'immaginazione.

    Bon, l'ho scritta e sinceramente credo di essere rimasta anche piuttosto IC, più per le tematiche dell'anime che per il resto, dopotutto non so come potrebbe davvero reagire Misaki affrontando un rapporto con Saruhiko. Saruhiko invece mi sembra quasi più semplice da gestire, forse per la sadicità? Sarà che sono quasi malata come lui a livello mentale ahah (oddio spero di no!).

    Beh, spero vi sia piaciuta~ Lasciate un commento che è sempre gradito 8D *porge fiori*


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  2. ´Ryann
     
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    ... Se ieri ti stavo odiando, ora ti sto semplicemente adorando. Lo sai, vero? *^*
    Hai davvero un bel modo di scrivere: non è affatto banale ma neanche troppo "pesante", quindi non osar cambiar stile se non vuoi ritrovarti con qualche osso fuori posto. <3
    Per quanto riguardo i personaggi, li ho trovati assolutamente IC. Soprattutto Fushimi, di cui trovo perfetto il modo in cui hai messo in evidenza il suo lato psicopatico e quasi (o totalmente?) malato.
    Ho adorato questa parte:
    CITAZIONE
    Il rituale che finisce, la tecnica di corteggiamento che ha fatto effetto, le ali del pavone che si ritirano e il leone che smette di mostrare le unghie e i denti. La criniera è ancora corta, è spelacchiata e giovane, così tanto da sembrare vecchia. Ed è un bacio bagnato, scivoloso come l'olio, corrosivo come l'acido. Ma è così dolce, così amaro, è così triste da sembrare perfetto.

    Tanto amore per te. **
     
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    *--* aww~ meno male, la mia vita è ancora salva x°D
    Comunque grazie *--* sono davvero felice che ti piaccia il mio modo di scrivere e che non risulti ne banale, ne pesante o contorto, quello che conta per me è che il messaggio arrivi chiaro ma in maniera piccante e originale~
    E sono ancora più contenta per l'IC perché ci tengo tantissimo a tenere i personaggi col loro carattere originario *^* mi fa sentire realizzata, soprattutto Saru, che lo amo da morire ahahah X° ♥
    Grazie ancora comunque per il commento >.< qualcuno che si spreca a lasciare un pensiero *commos*
     
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2 replies since 31/12/2012, 11:54   366 views
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